Ci ho messo solo un anno, ma finalmente ho finito di pubblicare tutti i post delle vacanze dell’anno scorso: Corsica for dummies!
Costosa vecchiettitudine
Negli ultimi due colloqui che ho fatto (non so se come consulente o per un posto fisso, credo non fosse chiaro nemmeno ai miei interlocutori) ero perfetta per il ruolo che cercavano (a sentire i miei interlocutori, intendo..) ma nulla è successo perché, a dir loro, costo troppo. Ok, loro erano startup, ma non puoi cercare un senior e pretendere di pagarlo come uno junior!
Ieri ho riassunto tutto questo su Gtalk impostandomi come stato “sono vecchia, so tante cose e costo cara“. In realtà non costo cara, ma costo commisuratamente alla mia esperienza e sono vecchia solo se mi paragonate a un neolaureato!
La cosa divertente è che sono passate quattro diverse fanciulle a condividere questa mia sensazione e la nostra età varia dalla mia a +10 (circa).
Magari lo scrivo su LinkedIn..
La sera dei miracoli
Devo andarmene di qui in tempo per lo sciopero dei mezzi (che inizia alle 18) e non troppo presto per via dello sciopero dei treni (che finisce alle 18), correre a casa, docciarmi, cambiarmi, prendere la macchina fotografica, saltare in macchina e correre a Milano alla GGD. Magari parcheggiare anche, ecco.
(..la vedo grama..)
Lo stronzo delle 18.32
(respiro)
Il treno delle 18.32 stasera era più pieno del solito. Dopo averne percorso circa 3/4, la maggior parte dei quali sulla banchina perché all’interno delle carrozze non si riusciva a passare, ho trovato una carrozza un po’ più libera delle altre e.. attenzione! Un posto libero.
Ora, non è che il mio tragitto sia di una lunghezza tale che mi consumo se anche sto in piedi, ma detesto essere spintonata, sballottata, accaldata e pressata da tutte le parti, ossia quello che succede quando viaggi in piedi su un treno pendolari della linea Milano-Lecco.
“Scusi, posso?” di solito approccio così le persone che appoggiano il cappotto o lo zaino o sul sedile di fronte. “No, è occupato”
Ora.. credo di potermi ritenere una pendolare di lungo corso e penso di conoscere piuttosto bene quel che si fa e quel che non si fa, compreso quel che puoi fare e quello che non puoi fare (sì, quello che fai può essere diverso da quello che puoi fare). Anche a me è capitato di tenere il posto a sorelle, cugine, amiche, ecc. che viaggiavano con me.. però quando il treno si riempie così tanto, non hai chance. Lasci lì la borsa e il resto per un po’, sperando che nessuno venga a chiederti se il posto è libero. Se, sfiga, te lo chiedono, abbozzi e ti riprendi la tua roba; il tuo compagno di viaggio è stato sfortunato o troppo ritardatario e per questa volta viaggerà in piedi.
Bene. Quindi stasera davanti al posto occupato ho ribattuto “Non mi sembra”. “Sì, guardi, è occupato”. “Ripeto, non mi sembra proprio”. Piega meglio il cappotto, ci appoggia sopra la mano, come ad occupare meglio due sedili (uno di fronte all’altro, per altro, l’assurdo nell’assurdo!) e ripete “È occupato”.
“Non mi sembra proprio”. “Non ha capito? È occupato, sta arrivando una persona” “Beh, ma adesso non c’è e non mi risulta che il regolamento ferroviario preveda che lei possa tenere occupato un posto”.
Ero circa nella terz’ultima carrozza di un treno lungo; se fossi andata a cercare il capotreno (che non si trovava in testa al binario quando sono passata, 4 minuti prima della partenza del treno, quindi sa il cielo dove fosse) ora che arrivavo in testa al treno era già ora di scendere; il numero di Trenitalia, ammesso e non concesso che esista un numero da chiamare in questi casi, non ce l’avevo; le sceneggiate napoletane non sono il mio genere e la discussione, per i miei standard, si era protratta sufficientemente a lungo.. quindi ho buttato l’occhio sul binario accanto, ho visto pronto il treno dopo (attesa 20 minuti), sono scesa augurando – uhm, meglio che non lo dica – al gentile signore che tiene i posti occupati e di perdere il treno alla persona a cui era destinato il *mio* posto, e sono comodamente salita sul 18.49.
Semivuoto, a due piani, confortevole e apparentemente privo di stronzi.
Ho aperto il pc ed eccomi qui. Quando (se) passa il capotreno chiederò consiglio su cosa fare in questi casi.
(ovviamente il capotreno non è passato)
Al telefono /2
Squilla il cell. Numero privato. Voce maschile con accento romano, ma la telefonata è molto disturbata:
X associazione buddhista italiana?
F No.
X Non vi occupate di yoga, ecc?
F No, questo è il mio numero
X Ma l’ho trovato su internet!
F Mi spiace, questo è il mio numero personale
X Ah, allora lo cancello
Senza parole.
Credo fermamente (o forse no)
Ogni tanto sono lì che rifletto sulle mie reazioni o si modi in cui approccio le cose e mi si forma lentamente in testa una lista di cose in cui credo fermamente. Allora mi dico “adesso la bloggo, così mi rimane”. Poi ci penso e lascio perdere, non perché non voglia mettere nero su bianco ma perché gli assolutismi assoluti (son ridondante, lo so!) non fanno per me.
Io parlo e medito meglio di ciò che conosco perché lo tocco con mano; il resto, dopo un po’, mi sa terribilmente di generalizzazione e/o di sega mentale.
Ode alla Nivea
Non c’è un errore nel titolo, non intendevo “Nives”, no, no, ce l’ho proprio con la Nivea. NI-VE-A. Bianca, soda.. barattolo blu, di latta, tondo. Quello.
Ci pensavo stanotte, mentre al buio allungavo una mano verso il cassetto del comodino, dove al tatto riconosco subito il barattolo (quello “normale” sia chiaro, perché quello piccolo non si può vedere che lo perdi e finisce subito e quello grosso stufa perché non finisce mai ed è ingombrante): la sensazione familiare del mio dito che sprofonda nel bianco, morbido, mi è familiare da più di trent’anni.
Quando ero piccola la mattina non si usciva di casa se non m’incremavo la faccia con la Nivea e la nonna non mi aveva picchiettato le guance (duplice funzione di massaggino rassodante e di assorbimento rapido della crema); un giorno che mi hanno propinato un famoso sostituto (Leocrema) l’ho annusato e sono fuggita sdegnata (in seguito ho anche controllato la consistenza e non c’eravamo proprio).
Narrano le leggende di famiglia che ancora più piccola e lasciata un pomeriggio con la babysitter io abbia accuratamente ricoperto la trapunta del lettone dei miei con il contenuto di un barattolo di Nivea.. (nessuno sa che fine abbia fatto la trapunta e se, quindi, la Nivea sia lavabile).
È un legame così profondo che i barattolini in casa sono due: metti che ne perda uno..
(..no, non mi paga il sig. Nivea. Da oltre trent’anni sono io che finanzio lui e non viceversa. Sì, il sig. N lo sa e non è geloso!)
Quella volta che
Un’amica mi sta facendo notare che è al computer per una conference call durante una cena a casa del fratello.
Non che sia consolante, ma mi è tornato in mente che un paio d’anni fa (se la memoria non m’inganna), mi sono presentata ad un matrimonio munita di computer.. per non fare torto né agli sposi né all’impegno improrogabile che avevo.
A metà del pranzo mi sono isolata su un tavolino, ho acceso il pc, aperto la connessione a internet, sono entrata in IRC e ho iniziato a presentare un progetto per una gara.
Dopo un po’ sono venuti a chiamarmi per il taglio della torta, ma io non potevo muovermi.. il padre della sposa era decisamente seccato!
Insomma, la gara non l’abbiamo vinta, il padre della sposa non mi perdonerà mai, gli sposi forse pure (li vedo sempre meno.. dipenderà da quello?) però, ecco, io lo rifarei :-D
Drone gatto
La sera quando sono sul divano compare spesso il gatto borg. Si avvicina lento ma inesorabile e guardando con i suoi occhioni gialli inizia a dirmi “Noi siamo gatti borg. La resistenza è inutile. Verrete assimilati” e quando le chiedo chi si crede di essere mi risponde “La mia designazione è Uno di Due, terziario aggiunto dell’unimatrice di casa nostra”. Poi mi assimila e tutto finisce tra la coperta e una gatta cicciona e calda.
Il mio sogno è questo: si alza il sipario, ci sta la sedia e ci sto io.
Mi piacciono le persone che sognano.
Ad occhi aperti o chiusi, ma soprattutto a parole. Di quei sogni belli, con un pizzico di realtà, che poi ti raccontano e imbastiscono, perseguono, provano a realizzare. E non importa se alla fine falliscono perché dopo hanno sempre un sogno da realizzare.
(..il titolo del post è una citazia da Cesare Zavattini, scelta qui..)