Morale della favola

“Ti ho fissato un app qui in corso Vercelli per l’una, puoi?”
Dritta alla meta mammà, non si ferma nemmeno a dirti “ciao” quando ti telefona e prima ti fissa gli app poi ti chiede se puoi. Beh, posso quindi vado.
Il negozio, Moro, è in un cortile interno che non ho mai notato prima, proprio di fronte a Coin; in vetrina un vestito da sposa e tanti vestiti di altro genere (bene, penso, non troverò le solite pazze).
Dentro ci accomodiamo in un saletta a parte, raccontiamo più o meno cosa cerco, mi spoglio e inizio a provare. Niente profonde indagini, niente noiosi cataloghi da sfogliare, solo una normalissima rapida indagine come sempre accade quando vai a comprarti qualcosa.
La prima sorpresa è la taglia: benché i vestiti non siano della mia, li posso infilare e mentre la signora me li appunta addosso con qualche spillo, riesco finalmente a vedermi e posso smettere di lavorare di immaginazione e di dovermi fidare della sedicente stilista di turno.
Trovato il modello che più mi aggrada, iniziamo a ipotizzare alcune modifiche: magicamente iniziano ad apparire sopragonne, stole, corpetti ricamati e pezzi di tessuto colorato, che con un abile uso di spili mi vengono fatti indossare.. il vestito si sta lentamente costruendo addosso a me, seguendo idee, desideri e prove.
La signora è molto disponibile, mammà di buon umore e io finalmente mi sento a posto: tra uno spillo e l’altro faccio la buffona per sdrammatizzare.
Il posto mi ha convinto, è un po’ più caro di quelli che abbiamo visto finora, ma i tessuti sono di ottima qualità e la prova mi ha convinta. Nel pomeriggio ho un’altro appuntamento e poi deciderò.

A fine giornata siamo da Aimee Spose e dopo la boccata d’aria di oggi a pranzo è un ritorno al passato: domande su domande e lunghi cataloghi.
Vado in camerino e inizio a provare. Mi entra giusto il classico piede e anche appuntandomeli addosso non è che ci capisca molto: corpetti drappeggiati, gonne ondeggianti.. io sono fantasiosa certo, ma fino ad un certo punto.
Ad ogni abito la stessa domanda “Le piace questo?” col tono di chi sta cercando la risposta immediata all’abito giusto.. non lo so, io ne provo un po’ e alla fine posso dire qualcosa, al momento posso dire di no solo a quelli che mi fanno profondamente schifo, mentre la gamma di sensazioni intermedie aspetta la fine per palesarsi.
Quello che apprezzo di più finisce sul manichino in modo che possa vedere come cadono tutte le gonne e sottogonne. Bello. È un bel vestito. Come mi starà? Quien sabe.
Poi viene interpellata la stilista per valutare un paio di modifiche e se la mia ipotetica scelta coincide con l’idea della signora dell’abito per me. Incredibilmente coincide. Mentre mi fa uno schizzo dell’abito, butta lì che se voglio lei adesso ha tempo di prendermi le misure.
Come “adesso”? È una settimana che sono stata buttata in questo mondo, non ho idea di cosa faccia per me, non posso provarmi un vestito e lei vuole che decida su due piedi? Mentre spiego che ho bisogno di pensarci qualche giorno, la commessa alza un sopracciglio e mentre mi vesto me lo richiede un paio di volte, mentre la stilista insiste che solo lei può creare il vestito per me, che mi stia bene e mi valorizzi.. che angoscia!
Non mi piace questo pressing: capisco che per i loro standard il mio matrimonio sia troppo “vicino” e che quindi il tempo per la realizzazione del vestito sia molto risicato, ma non decido comunque su due piedi e non mi piace questa sensazione di “o noi o nessun altro”.
Alla fine mi fissano un app per sabato per prendere le misure e mi lasciano due giorni per pensarci; trovo anche questa una forzatura, ma pace, voglio solo uscire e rifletterci.

Seguono due giorni di consultazioni con mammà, tanti cambi di idea, finché giovedì in pausa pranzo non sono tornata da Moro e ho ordinato il mio vestito. L’appuntamento di sabato da Aimee l’ho fatto disdire dal babbo, non avevo voglia di sentire ulteriori commenti.

Finanze in ribasso

Stamattina ho tenuto una lezione in Bocconi esattamente incastrata tra due riunioni.
Mi sono defilata alle 11.30 dall’ufficio, sono saltata su un taxi, sono arrivata in Bocconi con 10 min di anticipo e zero fiatone.
Lezione, panino con la docente e con un’amica, altro taxi e sono tornata in ufficio con qualche minuto di anticipo sulla riunione successiva.
Ho investito 15€ sulla mia salute (l’angoscia dei mezzi pubblici e/o della bici) e mi sento molto soddisfatta!

Finanze in rialzo

Sabato pomeriggio sono andata a Milano “a sorpresa” in treno. Non tanto la sorpresa di andare a Milano che era una gita pianificata, quanto l’andarci in treno perché pensavo di scroccare un passaggio al sig. N, ma alla fine i nostri orari non coincidevano e io mi sono organizzata altrimenti.
Esco di casa in comodo anticipo per prendere il treno delle 16.34 e procurarmi un biglietto. Non sapendo se la biglietteria è aperta o meno, cerco un biglietto in tutti i bar e le edicole tra casa mia e la stazione (400m), che sono poi le rivendite “storiche” di biglietti FS. Così storiche che adesso non li vendono più.
Arrivo in stazione e la biglietteria è chiusa (distributori automatici manco a parlarne) e inizio a cercare disperatamente le info sulle rivendite autorizzate, che trovo in bacheca sparse in mezzo a tonnellate di altre informazioni.
La prima rivendita si trova vicino a casa mia, in direzione quasi opposta a quella percorsa per venire fin qui; la seconda si trova dall’altra parte della ferrovia, in piena periferia, su una strada lunghissima e senza alcuna indicazione del civico a cui mi dovrei recare. Fine delle rivendite. Nessuna è nel raggio di 5 minuti a piedi dalla stazione.

Morale: io avrei tanto voluto pagare il mio biglietto, ma mi sono trovata in seria difficoltà. Signor FS, una strategia commerciale un attimino più mirata al territorio la vogliamo fare o no?

Basta vestiti!

Quando l’ho twittato l’altro giorno ho ricevuto due commenti carini: HoldMe mi ha detto “spogliati” mentre Donato mi ha fatto osservare che con una virgola e un accento spostato (“basta, véstiti!”) avrei potuto uccidere il market value del sig. N (o di un sedicente amante?); in realtà ce l’avevo coi vestiti da sposa, la mia stressantissima attività dell’ultima settimana.
Non avendo mai pianificato il mio matrimonio, francamente non avevo alcuna idea in merito al vestito da sposa.. per di più non è per nulla facile immaginarsi quei costumi da meringa sul mio fisichino, aggiungiamoci che la taglia di prova che tengono i negozi è la 42, et voilat, il gioco è fatto!

Ho iniziato da Couture Hayez, dove mi sono innamorata di un’idea di verde, ma non sono riuscita a vedermi addosso il vestito che mi proponevano (nel senso che l’ho provato vinaccia e l’avrei fatto di un colore pallidino, che però osservando i 2cm quadrati di stoffa sul catalogo non si capiva quanto in effetti sarebbe stato chiaro o scuro una volta finito) e ho iniziato a sentirmi cose del tipo “lei deve lavorare di immaginazione” (e certo.. io non compro vestiti su internet perché se non me li vedo addosso sono capace di comprare cose oscene) e “lei deve fidarsi della nostra esperienza” (sì, certo, tanto tutti quei soldi li spendo io – ok, mammà – e se una volta finito non mi piace sono fatti miei). Però il vestito era carino e mi ha fatto sdoganare il taglio impero (quella specie di vita altissima che finisce esattamente sotto il seno).

Poi sono andata da Pronovias, che piaceva tanto a mammà (forse perché è in centro?), siamo passate sabato alle 13.30 e ci hanno liquidate con “deve prendere appuntamento” con la chiara aria di quelle che stanno pensando “ma sei pazza? presentarti così?”.
Ok, prendiamo l’appuntamento. “Apriamo alle 10..” “Uhm” “..e prendiamo un appuntamento ogni ora, ora e mezza” “È possibile in pausa pranzo? fate orario continuato?” ” Sì, va bene alle 14?” (scusi ma lei a che ora mangia? va bene che la catena è spagnola, ma siamo a Milano) “prima?” “alle 12?” (uff, ma voi una sposa che lavora l’avete mai vista o sono la prima?) “alle 13 non è possibile?” (sguardo disgustato) “aspetti che chiedo”. Alla fine ottengo il mio app alle 13.
Lunedì alle 13 mi presento. “Si accomodi, guardi pure i cataloghi, che Tizia arriva subito”. Io in 15 minuti guardo il catalogo almeno 3 volte e poi mi tocca riguardarlo insieme a Tizia, che si appunta i modelli che ho visto. Ora, se mi rompi le scatole quando mi fissi l’app, mi aspetto che tu sia strapuntuale quando arrivo, almeno per farmi sentire in colpa; inoltre, abitualmente entro in un negozio e dico “vorrei questo”, in questo caso dico “vorrei un vestito taglio impero, con la gonna morbida”. Non è difficile e se lavori lì il catalogo lo conosci meglio di me.. ora, perché devo sorbirmi sta cosa del catalogo? La gonna morbida mica si capisce bene.. se la foto è troppo frontale capita di non riconoscere una gonna “rigida” o una a sirena, non facciamo prima se evitiamo? Pare di no.. (succede così da tutte le parti).
E poi l’interrogatorio: quando ti sposi? ok, questo è chiaro, devi dirmi se fai in tempo a farmi il vestito. A che ora? Uhm, vabbè, mane o sera cambia un pelo il clima. Dove? va beh, in comune è un po’ sobrio che in chiesa, dai, te lo concedo. In quale comune? e questo che ti frega? Dove fai il ricevimento? Idem come sopra.
Ma veniamo ai meravigliosi modelli: sintetici, ma di un sintetico brutto, mai a meno di 1000€ (se è brutto auspico che almeno costi poco), modelli non troppo curati.. mi è rimasto impresso uno di tulle, plasticosissimo, e uno di pizzo: praticamente una rete a quadretti di circa un cm, con delle righine dentro il quadretto. Un pizzo che non userei neanche per le tendine del mio bagno, ruvido, un po’ spelacchiato.
Siamo scappate in fretta e ci siamo dirette in porta Romana verso un posto indicato da un’amica, che però era chiuso (lunedì a pranzo, in effetti).

La sera siamo stati al Centro Sposi Paradiso, che sul sito magnifica come non sia necessario l’appuntamento. Arriviamo alle 18.15, la signorina che ci “accoglie” ci fa accomodare a sfogliare cataloghi (all) e ci dice di attendere la collega. Bon, nel giro di 10 minuti inizia un discreto via vai di signorine e di clienti, nessuno dei quali ha tempo per noi.
Mammà va in giro a toccare tutti i vestiti (incurante dei cartelli “Non toccare” e fa bene.. magari la sgridano e poi ci servono, penso io), poi inizia a lamentarsi un po’ quando si avvicinano delle signorine.. finalmente una ci dice “Ha ragione signora, Caia arriva subito”. Sono le 18.35..
Alle 18.47 mi avvicino al bancone e chiedo alle due donzelle accuratamente intente a farsi i cazzi propri se, visto che il negozio chiude alle 19, ha senso che noi continuiamo ad attendere una Caia che non arriverà mai. Hanno il bongusto di arrossire e una si precipita a prendere l’elenco che ho stilato di modelli da vedere (eh sì, la noia aguzza l’ingegno) e me li fa provare. So & so i vestiti e i materiali, ma prezzi più abbordabili della media.. peccato non aver potuto riprovare quello che mi convinceva un po’ di più perché hanno cercato di chiuderci dentro al negozio (alla faccia del cliente che ha sempre ragione).

(..to be continued..)

Lo stronzo delle 18.32

(respiro)

Il treno delle 18.32 stasera era più pieno del solito. Dopo averne percorso circa 3/4, la maggior parte dei quali sulla banchina perché all’interno delle carrozze non si riusciva a passare, ho trovato una carrozza un po’ più libera delle altre e.. attenzione! Un posto libero.
Ora, non è che il mio tragitto sia di una lunghezza tale che mi consumo se anche sto in piedi, ma detesto essere spintonata, sballottata, accaldata e pressata da tutte le parti, ossia quello che succede quando viaggi in piedi su un treno pendolari della linea Milano-Lecco.
“Scusi, posso?” di solito approccio così le persone che appoggiano il cappotto o lo zaino o sul sedile di fronte. “No, è occupato”

Ora.. credo di potermi ritenere una pendolare di lungo corso e penso di conoscere piuttosto bene quel che si fa e quel che non si fa, compreso quel che puoi fare e quello che non puoi fare (sì, quello che fai può essere diverso da quello che puoi fare). Anche a me è capitato di tenere il posto a sorelle, cugine, amiche, ecc. che viaggiavano con me.. però quando il treno si riempie così tanto, non hai chance. Lasci lì la borsa e il resto per un po’, sperando che nessuno venga a chiederti se il posto è libero. Se, sfiga, te lo chiedono, abbozzi e ti riprendi la tua roba; il tuo compagno di viaggio è stato sfortunato o troppo ritardatario e per questa volta viaggerà in piedi.
Bene. Quindi stasera davanti al posto occupato ho ribattuto “Non mi sembra”. “Sì, guardi, è occupato”. “Ripeto, non mi sembra proprio”. Piega meglio il cappotto, ci appoggia sopra la mano, come ad occupare meglio due sedili (uno di fronte all’altro, per altro, l’assurdo nell’assurdo!) e ripete “È occupato”.
“Non mi sembra proprio”. “Non ha capito? È occupato, sta arrivando una persona” “Beh, ma adesso non c’è e non mi risulta che il regolamento ferroviario preveda che lei possa tenere occupato un posto”.

Ero circa nella terz’ultima carrozza di un treno lungo; se fossi andata a cercare il capotreno (che non si trovava in testa al binario quando sono passata, 4 minuti prima della partenza del treno, quindi sa il cielo dove fosse) ora che arrivavo in testa al treno era già ora di scendere; il numero di Trenitalia, ammesso e non concesso che esista un numero da chiamare in questi casi, non ce l’avevo; le sceneggiate napoletane non sono il mio genere e la discussione, per i miei standard, si era protratta sufficientemente a lungo.. quindi ho buttato l’occhio sul binario accanto, ho visto pronto il treno dopo (attesa 20 minuti), sono scesa augurando – uhm, meglio che non lo dica – al gentile signore che tiene i posti occupati e di perdere il treno alla persona a cui era destinato il *mio* posto, e sono comodamente salita sul 18.49.
Semivuoto, a due piani, confortevole e apparentemente privo di stronzi.

Ho aperto il pc ed eccomi qui. Quando (se) passa il capotreno chiederò consiglio su cosa fare in questi casi.

(ovviamente il capotreno non è passato)

Al telefono /2

Squilla il cell. Numero privato. Voce maschile con accento romano, ma la telefonata è molto disturbata:

X associazione buddhista italiana?
F No.
X Non vi occupate di yoga, ecc?
F No, questo è il mio numero
X Ma l’ho trovato su internet!
F Mi spiace, questo è il mio numero personale
X Ah, allora lo cancello

Senza parole.

Al telefono /1

Martedì scorso ho fatto colazione con Sara. Non ci eravamo date un appuntamento preciso ma ci eravamo scambiate il numero di cell, quindi quando sono arrivata sotto casa sua le ho mandato un sms:

F Sono sotto casa tua :-)
S Chi 6
(io iniziavo a pormi delle domande, ma magari Sara non aveva salvato il mio numero e ce l’aveva su un foglietto di carta esattamente come ce l’avevo io in quel momento)
F Frieda
S Sotto quale casa
(e qui ho iniziato a sghignazzare tra me e me)
F Sara?
S Ai sbagliato numero
F Ops!

A quel punto ho chiamato un’amica e mi sono fatta dare il numero giusto e la nostra colazione è andata benissimo, ma io ho continuato a sghignazzarci sopra per tutta mattina (mi immaginavo un marito munito di moglie molto gelosa che riceve il mio sms..!!).

Credo fermamente (o forse no)

Ogni tanto sono lì che rifletto sulle mie reazioni o si modi in cui approccio le cose e mi si forma lentamente in testa una lista di cose in cui credo fermamente. Allora mi dico “adesso la bloggo, così mi rimane”. Poi ci penso e lascio perdere, non perché non voglia mettere nero su bianco ma perché gli assolutismi assoluti (son ridondante, lo so!) non fanno per me.
Io parlo e medito meglio di ciò che conosco perché lo tocco con mano; il resto, dopo un po’, mi sa terribilmente di generalizzazione e/o di sega mentale.

Matriagio & co

Il sig. N mi manda mail angosciate chiedendo aggiornamenti sull’organizzazione del matriagio e io ci scherzo su o rispondo incazzosa (stufa di colleghi, amici, parenti che non sanno ripetere altro che “siete in ritardo!”. Organizzate voi, no?).
Il mercoledì sera è il momento che temo di più di tutta la settimana, non c’è scadenza lavorativa o angoscia personale che sia simile a come mi sento quando il mercoledì sera si avvicina: odio il corso fidanzati. È noioso, il sig. N trolla (ogni tanto ha ragione, ogni tanto vorrei tirargli un calcione sulla caviglia se solo ci fosse garanzia che questo lo zittisca), le riflessioni sono spesso e volentieri monologhi della coppia guida, il prete ieri sera ha detto cose del tipo “e allora vai su Facebook a informarti sull’aborto” (e io ho pensato di alzarmi e di andarmene, che a riempirsi la bocca di cazzate son buoni tutti ma questa ne batteva tanti), utilità pratica nulla (quando devo fare il consenso? consegnare i doc al prete? chi mi spiega dove trovare le letture tra cui scegliere per il “libretto”?) e per di più fa freddo, le sedie sono scomode e tutto quel bianco con la luce al neon la sera mi urta (sì, sono insofferente).
La mie due proposte per il viaggio di nozze sono state cassate (una certamente, l’altra forse) e io inizio a capire perché la gente assume wedding planner.

[Retrò]: addio monti sorgenti e valli (alla finnica)

Credo di averlo detto a tutti in continuazione (o almeno l’ho fatto per anni): durante l’università ho fatto l’Erasmus a Helsinki.
Aver appena finito di leggere l’ultimo libro di Severgnini e aver discusso di scambi culturali l’altra sera a cena con amici, mi ha fatto ricordare che poco meno di 10 anni fa ho scritto questo a Italians:

Caro Beppe,
ho bisogno del tuo sostegno e di quello di tutti gli Italians. Dopo 4 mesi di Erasmus in Finlandia me ne torno a casa. Questo Paese strano mi è “entrato dentro”, non so bene come e perché; ho provato a spiegarlo agli amici stupefatti (“come? non vuoi tornare a casa?”) ma non ci sono riuscita. Dev’essere qualcosa che è nell’aria, o nei boschi. Dev’essere quest’incrocio di culture che convivono benissimo in un’università dove puoi dare i tuoi esami in inglese, finlandese, tedesco e qualche volta anche in italiano. Te la immagini una cosa del genere in Italia? Io no.
La cosa a cui più mi dovrò abituare sono le porte. Il finlandese-medio ti apre la porta, se ti vede arrivare te la tiene aperta, ti cede anche il passo. Già mi ci vedo, a spasso per Milano, che sbatto il naso contro la porta della Rinascente perché il ragazzo davanti a me l’ha “lasciata andare”. Porte a parte, volevo ringraziarti perché attraverso Italians ho conosciuto un po’ di “italiani di Helsinki” e insieme abbiamo formato un bel gruppo. Mi spiace che la pizzata sia scivolata in data da definirsi.
Sfatiamo un mito, quello dei nordici alti-biondi-con-gli-occhi-azzurri: i finlandesi per biondi sono biondi, l’occhio ceruleo non manca, alti a volte, ma sono proprio slavatini.
Hyvää jouloa ja onnellista uutta vuotta (Buon Natale e Felice Anno Nuovo)