R “S. Te lo ricordi?”
F “Chi?”
C “Mai sentito..”
R “Dai, S.. che è entrato in camera nostra a Gressoney quella volta che saltavamo sui letti, fuori di testa chissà perché, mezze nude e lui è entrato di colpo..”
F “No.. ma il nome mi dice qualcosa..”
(..dopo mezz’ora di chiacchiere su altro..)
F “Ma aspetta: S. era alto, moro, con gli occhi scuri? Ed è entrato in camera nostra e a metà di un salto mi sono infilata sotto le lenzuola?”
R “sì, e io mi sono strappata la tasca dei jeans mentre cercavo di tirarli su a forza..”
F “..me lo ricordo, me lo ricordo! E poi è rimasto lì a chiacchierare come se niente fosse.. e poi, era Woodstock lui, no?”
C “Come Woodstock?”
F “essi, gliel’avevi dato tu quel nome!”
C “Cavolo non mi ricordo proprio..”
La camera a Gressoney che abbiamo condiviso era nel 1986 o nel 1987 (prima o seconda media).
C era mia compagna alle elementari, poi alle medie. Al liceo lei ha fatto il classico ma dopo il biennio ha cambiato scuola e ci siamo perse dopo poco.
R era mia compagna alle medie, al liceo era in un’altra sezione (una porta più in là!) e ci siamo perse dopo i primi anni di università.
Con R siamo uscite a pranzo un anno fa, a C avevo iniziato a scrivere anni fa, dopo aver trovato il suo nome tra gli autori di un paper che mi interessava; siamo tutte amichette su FB, ma dal vivo era la prima volta che ci rivedevamo.
R con due figli è incredibile (li mette a letto e gli legge “Favole al telefono“, ho riconosciuto la copertina prima ancora che girasse il libro e mentre proponeva la fiaba di Giovannino Perdigiorno io mi sono trovata a rispondere “ha perso il tram di mezzogiorno”), C che è tornata, che coraggio!, dopo una vita all’estero.
Ma soprattutto il passato: pezzi da raccontare, cose su cui ridere, la tristezza di quelli che non ci sono più, certe cose che non cambiano mai.. (“non ci credo ti sei vista con la .., ma se non l’hai mai sopportata!” “Infatti non la sopporto neanche adesso!”).
Intanto i vuoti si ammonticchiano in giro: io ho portato una bottiglia e una torta, C due bottiglie, R aveva già stappato un rosso per farlo respirare in nostra attesa. C’è chi beve Braulio in dosi omeopatiche, chi si coccola un Laphroig nel bicchiere. E si fa tardi troppo presto e dobbiamo salire sul terrazzo, non si può andare via senza.
E c’è Milano davanti a noi, mezza vuota. C’è un ex-lui che torna a casa e sbircia in direzione nostra ma non ci vede, siamo in ombra, ma continua a guardare. E noi guardiamo, lui, gli zingari, le luci di Milano.
Fa fresco, si sta bene. Sembra di essere altrove.
Il gusto di torba viene con me fino a casa e sono tentata di non lavarmi i denti per non perdere quel sapore, che sa di terra, fumo e ricordi.
(..bentornate ragazze!)