Corsica for dummies: a zonzo per Cap Corse

Oggi si gira.
Il deserto delle Agriate, per quanto mi attiri da mesi prima di partire, lo scartiamo. Si può girare in mountain bike (ma fa troppo caldo!), in jeep (la Jollyroger, per quanto ogni tanto diventi una 216, non lo è) o in barca (troppo costoso affittarne una per sole 2 persone e per quanto riguarda i barconi “organizzati” sono rimasta traumatizzata anni fa in Croazia).
Decidiamo così di avventurarci a nord, alla scoperta di Cap Corse.
Superiamo Nonza a fatica (le macchine parcheggiate ovunque la rendono praticamente una passing place) e proseguiamo incantati dal paesaggio fino a Pino, dove ci fermiamo per rinfrescarci ad una fontana, andare in cerca del convento (non raggiungibile.. indicazioni nulle e terrore – mio – che ci fosse da scendere per tutta la collina e poi riscalarla) e fermarsi allo Spar locale (che per diffusione e tipologia di prodotti mi ricorda la Coop da noi) per comprare il pranzo.
Poi ripartiamo in direzione di Centuri-Port e di una spiaggia dove rinfrescarci e fare un pic-nic.
Poco prima di Centuri, di fronte a un capo, c’è un isolotto (parco naturale) con microscopiche spiagge e tanti scogli. Su uno degli scogli, dopo adeguato guado della laguna, abbiamo abbandonato zaino, pranzo e asciugamani.
Il bagno è stato all’insegna dei ricci e degli esperimenti del sig. N: se calpesto un riccio con le mie scarpe da scogli, mi farò male? (la risposta è sì!)
Sdraiati sugli scogli abbiamo sbranato una baguette con del formaggio di capra. Mentre sbucciavo il formaggio e lo appoggiavo a tocchi nel tupperware davanti a me ho avuto un deja-vu. Per un momento sono stata Olivia che sbuccia la sua arancia prima di prendere una decisione e mi sono ritrovata ospite nella tenuta di Ibiza, mentre preparo un melone locale e ne assaporo il profumo.
Fuggiti alla calura degli scogli ci siamo inerpicati verso Ersa, osservando le pale eoliche (che mi affascinano da sempre), due silos in rovina e un mulino in cima alla collina.
Il sig. N mi ha guidata alla scoperta del mulino (Mattei) che il cugino corso del sig. Campari ha usato negli anni 70 per la pubblicità dei suoi liquori e della cedratina.
Il mulino all’interno è visitabile ma non ospita, ahimè, uno spaccio di cedrata gelata bensì un microstore di magliette e affini volte al mantenimento della riserva naturale di cui il mulino fa parte.
Dal mulino si gode un’ampia vista delle baie circostanti, dell’isola di Giraglia e dell’Elba (o forse era Capraia?).

Il sig. N mi ricorda che in una qualche frazione di Centuri c’è un tremendo semaforo a senso unico alternato che causa ingorghi pazzeschi perché non viene rispettato alla lettera.
Degna figlia di mio padre (che urlava “Pirla!” a un irlandese in un ingorgo nel centro di Dublino più di 20 anni fa) ho urlato “Pirla, c’è il semaforo!” a un francese in contromano.

La tappa successiva è stata Macinaggio, una visita tutto sommato inutile: non c’è nulla da vedere, c’è un porto enorme e il paese è parecchio affollato.
Il tempo di comprare qualcosa di gelido da bere, fare un tuffo in una spiaggia niente di che e siamo ripartiti.
Abbiamo puntato su Luri, dove la torre di Seneca prometteva bene. Sulla strada abbiamo provato a fermarci ai “Jardins traditionelle du Cap Corse”, una sorta di orto botanico che coltiva antiche varietà tipiche del Capo. Purtroppo la mezz’ora a nostra disposizione prima della chiusura dei giardini non era sufficiente a girarli tutti e a gustare la degustazione compresa nel biglietto d’ingresso.
Abbiamo proseguito verso la torre, che non è sulla strada che porta a Luri, ma sulla D180 ben oltre A Piazza. Quando il sig. N ha iniziato a disperare di trovarla, ho alzato gli occhi e l’ho vista sopra di noi, una sorta di Mordor sul suo pinnacolo di roccia nera, diroccata e solitaria quanto basta.
Pare che Seneca abbia scritto dei versi (somme lamentazioni direi io) che la Rough cita. Quando il sig. N me li ha letti ho riso per circa un quarto d’ora!

Alla fine non siamo saliti alla torre: la scalata di mezz’ora compresa la roccia viva non faceva per me.
Il rientro ha avuto come tappa intermedia Pieve di Canari di cui la Rough diceva meraviglie (per una torre e per l’ascesa al campanile) che non abbiamo notato. Da veri barbari non ci siamo resi conto dell’importanza della chiesa plebana e il campanile non era visitabile (non che fosse chiuso, no, non era proprio previsto!).
Alla fine, stanchi ma soddisfatti, abbiamo cenato in campeggio (sconsiglio: poca scelta e pizze carissime).
Prima di nanna il sig. N ha avuto la malaugurata idea di sfidarmi a biliardo: con la classe tipica dei principianti l’ho battuto, per la gioia del mio fan club crucco (tre nani che avranno avuto, sommandoli, 20 anni).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *